
Questa natura vista e pensata dall’uomo, si traduce nella poesia dolente della solitudine, dell’abbandono dell’uomo, dell’assenza, del silenzio: argomenti soltanto apparenti. L’uomo non c’è perché abita altrove: le sue fortezze quadrate, intrichi di segni o muraglie calcinate dal sole toscano, non condividono nulla con quel che siamo abituati a pensare. Vite, dolori, rumori, inizi, tragedie, passaggi. Case massicce come antiche fortezze, non vuote né piene, ma alfabeti primordiali di ogni civiltà, lettere di un vocabolario che soltanto il tempo svelerà. Un tempo che, è comunque inserito con un elemento eccentrico, non misurabile: il cielo e le sue nuvole. Senza superficie e contorno, le nuvole non occupano un luogo e non hanno né forma né limiti definiti. La nuvola, in fondo, è un problema per la sua stessa pittura: rivela quanto il sistema della rappresentazione sia escludente, imperfetto, una prospettiva non rappresentabile. E dunque i cieli di Bartolini si dispongono come limite, come elemento figurale inafferrabile, dove paiono dominare l’immateriale e il contingente.