MARCO RIGAMONTI
PAESAGGI ACIDI
Rigamonti dimostra che la fotografia non è solo il momento dello scatto: essa infatti può trasformarsi in una sospensione, in una deriva nel corso del tempo. In un percorso nel passato e nella fotografia. Le sue, in effetti, sono immagini di immagini. Egli scava nel proprio archivio di fotografie compiendo, senza uscire dallo studio, una sorta di viaggio tra classificatori e contenitori. Estrae alcune serie di diapositive scattate all’epoca dell’analogico, le duplica, sempre su Polaroid, e le lascia a macerare 24 ore nell’aceto balsamico fino a ottenere immagini atmosferiche e sfumate, morbide o scavate da misteriose corrosioni. In Paesaggi acidi il mare diventa allora una distesa dell’interiorità e l’orizzonte l’essenza della lontananza, il punto dove il vedere si incontra con il non-vedere, la linea dove il visibile tocca l’invisibile.